Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è intesa a conferire al Governo la delega per l'adozione del nuovo codice penale militare di pace, abrogando quello attualmente vigente, di cui al regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303.
      Il codice in questione, ancorché abbia subìto nel corso degli anni diverse modifiche a seguito di interventi legislativi (in particolare la legge 23 marzo 1956, n. 167) e della Corte costituzionale, necessita di una profonda rivisitazione che tenga conto della professionalizzazione delle Forze armate e della connessa sospensione della leva, nonché del crescente impegno nazionale nel contesto di missioni internazionali.
      In tale prospettiva si è ritenuto di operare un intervento sistematico rispondente all'esigenza di razionalizzare la legge penale militare, senza ampliare la nozione di reato militare e mantenendone immutato l'ambito soggettivo di applicazione, in linea con la previsione dell'articolo 103, terzo comma, della Costituzione e con quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 429 del 1992.
      Da un punto di vista sistematico si è tenuto conto della necessità di ancorare i reati militari a interessi definibili come «militari», secondo un criterio di ragionevolezza, e dei limiti richiamati dalla Corte costituzionale in materia di sanzione penale, ritenuta come extrema ratio e non strumento ordinario per perseguire gli illeciti, soprattutto nelle sentenze n. 341 del 1994, n. 519 del 1995 e n. 317 del 1996.
      Il testo proposto consente di superare la frammentarietà degli interventi che si

 

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sono succeduti nel tempo e le conseguenti problematiche sorte in ordine alle disposizioni applicabili nel corso delle missioni internazionali. In tale ottica il provvedimento prevede l'introduzione di disposizioni penali per assicurare la piena tutela dei cosiddetti «soggetti deboli» e delle Forze armate, nel quadro dell'imprescindibile rispetto dei diritti umani e delle norme di diritto internazionale.
      La presente proposta di legge introduce significative novità in materia di:

          a) condizioni di procedibilità, con introduzione della querela per alcuni reati contro la persona e il patrimonio in aggiunta alla richiesta di procedimento del comandante di corpo;

          b) pene principali e accessorie, rispettivamente con previsione della multa e con abrogazione delle pene militari accessorie, che vengono così ricondotte alla disciplina della legge penale comune. Quanto ai limiti di pena, nel rispetto dei princìpi di proporzionalità e di coerenza dell'ordinamento, sono state eliminate disarmonie tra i limiti edittali per i reati previsti dalla legge penale militare, dal codice penale e dalle leggi speciali che disciplinano analoghe fattispecie, curandone il coordinamento (in particolare per i delitti contro la personalità dello Stato e contro la persona, ma anche per i reati commessi nel corso delle operazioni all'estero);

          c) armonizzazione dei delitti contro la persona e l'amministrazione militare con gli analoghi istituti disciplinati dal codice penale, con ciò eliminando anomalie evidenti come nel caso del peculato militare;

          d) abrogazione delle fattispecie non più attuali, ritenute incostituzionali o tacitamente abrogate ovvero sprovviste di offensività sufficiente a giustificarne la rilevanza sul piano penale, come le disposizioni in materia di duello, attività sediziosa, domanda o reclamo collettivo, danneggiamento colposo di cose mobili dell'amministrazione militare;

          e) introduzione di specifiche fattispecie autonome che offendono interessi militari o circostanze aggravanti, come quelle dell'omicidio tra pari grado commesso in servizio o per cause attinenti al servizio o alla disciplina ovvero in luogo militare (al momento in tali circostanze solo l'omicidio tra militari di grado diverso costituisce reato militare), del furto di armi, del cosiddetto «nonnismo», di reati commessi nel corso di operazioni militari armate all'estero ovvero in operazioni condotte in caso di pubblica calamità;

          f) revisione e razionalizzazione dei reati contro la disciplina militare, delimitando l'ambito dei reati militari ai soli fatti effettivamente lesivi di interessi militari;

          g) procedura penale militare, confermando l'applicazione delle norme del codice di procedura penale, salva diversa disposizione di legge, e mantenendo soltanto le disposizioni necessarie, previa opportuna modifica;

          h) missioni internazionali, prevedendo norme penali sostanziali per perseguire gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, come nel caso di cattura di ostaggi, tortura, violenza arbitraria contro civili che non prendono parte alle operazioni militari e norme in materia di arresto, fermo e misure cautelari personali e adempimenti connessi, riprendendo e aggiornando istituti già applicati nelle missioni internazionali ma inseriti in molteplici testi normativi.

Articolo 1 - Delega al Governo.

      L'articolo 1 contiene la delega al Governo per l'adozione del nuovo codice penale militare di pace, da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge. In considerazione della complessità e della portata dell'intervento normativo si è ritenuto opportuno ricorrere allo strumento della delega, più adatto in ragione della complessità della materia e coerente con le scelte che hanno accompagnato

 

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riforme legislative di ampia portata, soprattutto in materia penale, come la legge 16 febbraio 1987, n. 81, con cui è stata conferita la delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale.

Articolo 2 - Princìpi e criteri direttivi.

      Nell'articolo 2, comma 1, sono previsti i princìpi e criteri direttivi generali [lettera a)], e quelli specifici relativi alla parte sostanziale e speciale [lettera b)], nonché all'apposito regime penale delle operazioni militari armate all'estero [lettera c)].

1) Reato militare.

      Viene confermata la disposizione del vigente codice penale militare di pace per la quale costituisce reato militare qualunque violazione della legge penale militare e qualunque reato qualificato come tale dalla legge.

      La determinazione delle fattispecie di reato militare da mantenere nel nuovo codice penale militare è stata effettuata previa individuazione di interessi definibili come militari e ritenuti meritevoli di tutela penale, rispettando il canone della ragionevolezza secondo i parametri posti dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 42 del 1977 e n. 298 del 1995. Si è altresì operato un bilanciamento tra tali interessi e altri di natura diversa, tenendo in ogni caso conto dell'esigenza di assicurare l'efficacia dell'azione giudiziaria, la chiarezza delle nuove norme e la loro coerenza rispetto alle fattispecie analoghe previste dalla legge penale comune.
      Per quanto riguarda le pene principali, il sistema viene in parte modificato salvaguardando tuttavia l'esigenza di recuperare al consesso militare l'appartenente alle Forze armate condannato a pena detentiva.
      È previsto infatti che i reati militari sono puniti con l'ergastolo, la reclusione e la multa e che, se alla condanna non consegue l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e se il condannato non ha in altro modo cessato di appartenere alle Forze armate, la pena detentiva viene convertita in reclusione militare, da scontare negli stabilimenti militari di pena.
      Per i militari in servizio permanente condannati per reati comuni viene confermata la disposizione per la quale la reclusione comune viene convertita in reclusione militare e scontata presso il carcere militare, salvi i casi dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici o di colui che abbia in altro modo cessato di appartenere alle Forze armate.
      Per quanto concerne le pene accessorie si è ritenuta superata l'attuale autonoma disciplina, peraltro in alcune parti oggetto di censure e in altre di critiche della Corte costituzionale (sentenze n. 258 del 1993 e n. 490 del 1989), e si è optato per l'applicazione integrale della disciplina del codice penale comune.

2) Cause di giustificazione.

      La speciale definizione della legittima difesa, contenuta nell'articolo 42 del codice penale militare di pace, diversa da quella del codice penale comune, non appare né attuale né ragionevole. Infatti, non può più giustificarsi una normativa speciale che limiti l'operatività della causa di giustificazione alla necessità di respingere da sé o da altri una «violenza» e non ne preveda l'applicabilità in caso di difesa di un diritto proprio o altrui, né che giustifichi la condotta difensiva solo di fronte a una «violenza attuale», oltre che ingiusta, e non nel caso di «pericolo attuale di un'offesa».
      Si ritiene pertanto preferibile evitare una norma speciale in materia di difesa legittima, lasciando operare direttamente la scriminante di diritto comune.
      È stata confermata la causa di giustificazione dei casi particolari di necessità militare, attualmente prevista dall'articolo 44 del codice penale militare di pace, secondo cui non è punibile il militare che ha commesso un fatto costituente reato in quanto costretto dalla necessità di impedire reati quali l'ammutinamento, la rivolta, il saccheggio o la devastazione.
      Viene inoltre espressamente prevista la responsabilità penale del militare che esegue

 

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un ordine che sia manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisca manifestamente reato. L'inserimento del principio in questione, già operante nell'ordinamento in base all'articolo 4 della legge 11 luglio 1978, n. 382, nell'ambito della disciplina delle scriminanti, risponde a esigenze di sistematicità e di chiarezza, anche alla luce della particolare valenza del principio in ambito internazionale, come si rileva anche dall'articolo 33 dello Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato dall'Italia ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232.

3) Forme di manifestazione del reato.

      Nell'ambito delle circostanze del reato viene sostanzialmente confermato il sistema attuale, con alcuni aggiornamenti. Accanto alle circostanze aggravanti di aver agito per timore di un pericolo al quale si aveva un particolare dovere giuridico di esporsi, l'essere rivestito di un grado o investito di un comando, l'avere commesso il fatto con le armi di dotazione militare o durante un servizio militare, ovvero a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, l'aver commesso il fatto alla presenza di tre o più militari o trovandosi per servizio all'estero o in concorso con inferiori in grado, alcuni reati come la disobbedienza, la rivolta e l'insubordinazione con minaccia sono aggravati se commessi nel corso di un'operazione militare armata all'estero ovvero durante operazioni condotte in caso di pubblica calamità. Tra le attenuanti viene mantenuta la circostanza dell'aver commesso il fatto per eccesso di zelo.

4) Pene, sanzioni sostitutive e misure alternative.

      Le disposizioni in materia di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi irrogate per reati militari e di misure alternative alla detenzione assolvono soprattutto a un'esigenza di maggior chiarezza della disciplina, comunque già applicata in via interpretativa, anche a seguito di specifici interventi della Corte costituzionale. In particolare, con la sentenza n. 284 del 1995, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede l'applicabilità delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi per i reati militari, per ingiustificata disparità di trattamento dei condannati militari rispetto a quelli comuni, rilevando altresì la necessità di comporre le antinomie emergenti tra il sistema dettato dalla legge di modifica al sistema penale e particolari categorie di soggetti come i militari. Con pronuncia n. 414 del 1991, la Corte ha dichiarato altresì la parziale illegittimità costituzionale dell'articolo 47-ter della legge n. 354 del 1975, lasciando tuttavia aperte alcune problematiche in materia di detenzione domiciliare.
      L'intervento tiene conto della necessità di garantire la compatibilità delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative alla detenzione con lo svolgimento delle prestazioni di servizio del condannato militare, nonché di coordinare i riferimenti contenuti nella legge 29 aprile 1983, n. 167, alle corrispondenti fattispecie di reato che saranno introdotte nell'esercizio della delega di cui alla presente proposta di legge.

5) Riabilitazione militare.

      L'attuale disciplina in materia di riabilitazione militare (articoli 412 del codice penale militare di pace e 683, comma 1, del codice di procedura penale) è caratterizzata da irragionevoli duplicazioni che aggravano sensibilmente il procedimento e penalizzano il militare condannato dall'autorità giudiziaria militare. L'ordinamento subordina infatti la riabilitazione militare al preventivo riconoscimento della riabilitazione da parte della magistratura ordinaria. Tale incoerenza viene superata attribuendo al tribunale militare di sorveglianza competenza esclusiva sul punto.

6) Reati contro la fedeltà e la difesa militare.

      La normativa in materia di reati militari contro la fedeltà e la difesa militare,

 

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contenuta nel codice penale militare di pace del 1941, viene sostanzialmente confermata, considerando anche che molti dei più gravi reati già previsti trovano corrispondenza in analoghe disposizioni del codice penale.
      Per i reati di offesa alla libertà del Presidente della Repubblica, dell'arruolamento non autorizzato a favore di uno Stato estero e del vilipendio della Repubblica, del Governo, dell'Ordine giudiziario o delle Forze armate, è stata mantenuta la condizione di procedibilità dell'autorizzazione del Ministro della giustizia, già prevista dell'articolo 3 del regio decreto-legge n. 1386 del 1941, convertito dalla legge n. 560 del 1942, prevedendo che la medesima venga rilasciata previo parere del Ministro da cui il militare interessato dipende. Detta condizione di procedibilità viene peraltro espunta in relazione al reato di intelligenze con lo straniero, in quanto non prevista per l'analoga fattispecie di cui all'articolo 243 del codice penale.
      Sono state ridotte le pene per i reati di vilipendio, tenendo conto che per alcune delle corrispondenti violazioni del codice penale la legge 24 febbraio 2006, n. 85, ha escluso la pena detentiva.

7) Reati contro il servizio militare.

      Le condotte di violazione di doveri generali inerenti al comando sono ridefinite riducendo in alcuni casi le pene al fine di armonizzarle con previsioni analoghe contenute nel codice penale e nel codice della navigazione e abrogando le fattispecie ritenute non più attuali.
      Il reato di violata consegna viene rimodulato, mantenendo la punibilità del militare comandato di sentinella o ad altro servizio regolato da consegne che abbandona il servizio o in altro modo viola la consegna ricevuta, in assenza di un giusto motivo. Quest'ultima condizione conferisce il necessario rilievo all'obbligo di leale collaborazione sancito dall'articolo 13 del regolamento di disciplina militare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545, secondo cui il militare ha il dovere di assumere l'iniziativa quando siano chiaramente mutate le circostanze che avevano determinato le disposizioni ricevute, cercando di conseguire comunque lo scopo che gli era stato prefisso e informando appena possibile i propri superiori.
      È stata poi inserita una specifica aggravante in considerazione del particolare rilievo rivestito dalla scrupolosa osservanza delle consegne nel caso della sentinella in servizio durante operazioni militari armate all'estero o in circostanze di pubblica calamità.
      L'ambito del reato di omessa presentazione in servizio viene limitato al caso del servizio armato regolato da consegne o disposto nel corso di un'operazione militare armata all'estero, sempre che dal fatto derivi l'interruzione della continuità del servizio o un pericolo per le persone o per le infrastrutture. In tal modo vengono superate le incertezze interpretative della norma attuale, riconoscendo rilievo penale soltanto alle condotte connotate da una specifica offensività e riconducendo nell'ambito esclusivamente disciplinare altri comportamenti caratterizzati da un ben diverso disfavore (lievi ritardi in servizio che non abbiano cagionato effettivo danno alla continuità del medesimo ovvero mancate presentazioni per svolgere servizi di ufficio).
      Per quanto concerne l'assenza arbitraria dal servizio, viene abrogato il reato di allontanamento illecito, escludendo la rilevanza penale dell'assenza dal servizio protrattasi per non più di cinque giorni; quanto alla mancata assunzione del servizio da parte di chi, a qualsiasi titolo, abbia l'obbligo di prestare servizio militare, il termine minimo per la sussistenza del reato è stato portato a dieci giorni.
      Per quanto attiene ai casi di procurata o simulata infermità, vengono unificate le relative fattispecie, con diminuzione di pena, coerente con il venir meno degli obblighi di leva, che conferivano ai reati in questione una maggiore offensività. Viene contestualmente abrogata l'ipotesi di procurata inabilità o simulata infermità in cui il soggetto abbia agito per sottrarsi a un

 

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servizio specifico assegnatogli, e non agli obblighi militari nel loro complesso, al momento procedibile a richiesta del comandante di corpo.
      Vengono inoltre riviste le disposizioni in materia di danneggiamento di armi, esplosivi, opere militari, edifici e beni immobili militari ad esso destinate, limitando la rilevanza penale del danneggiamento colposo al solo caso di distruzione di navi o aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari ed escludendo tutte le rimanenti ipotesi di colpa, al momento perseguibili a richiesta del comandante di corpo, in quanto si ritiene che trovino una definizione più appropriata in sede disciplinare.
      La sottrazione di armi, munizioni, esplosivi o materiali di armamento appartenenti all'amministrazione militare viene punita prevedendo due specifiche figure di reato, la più grave delle quali sanziona severamente, in analogia con quanto avviene nella disciplina comune, il caso del furto in armeria.
      Per il reato di disobbedienza viene esclusa la punibilità del militare che, avendo dichiarato di non voler eseguire l'ordine, lo esegue comunque dopo la reiterazione da parte del superiore. Viene poi prevista un' aggravante speciale se il fatto è commesso durante operazioni militari armate all'estero ovvero interventi in occasione di pubblica calamità.
      Le previsioni in materia di attività e di comportamenti sediziosi vengono profondamente innovate, in particolare abrogando i reati di attività sediziosa e raccolta di sottoscrizioni per rimostranza o protesta, ora disciplinati dagli articoli 182 e 184 del codice penale militare di pace. Tali disposizioni presentano criticità sul piano costituzionale con riguardo alla loro dubbia compatibilità con il diritto di libera manifestazione del pensiero di cui all'articolo 21 della Costituzione, nonché a profili di indeterminatezza e difetto di tassatività. Peraltro già la giurisprudenza ha limitato fortemente la portata dell'articolo 182 del codice penale militare di pace (nel senso definito dalla corte militare d'appello nella sentenza del 9 febbraio 1988), fornendone una lettura restrittiva.
      Il reato di manifestazione sediziosa viene di contro confermato, anche perché tuttora rispondente ad analoga incriminazione del codice penale comune e in considerazione del fatto che la pubblicità della condotta conferisce a questa un disvalore che ne giustifica la perseguibilità sul piano penale; viene tuttavia eliminato il riferimento alle grida, in quanto non più attuale.
      Le vigenti disposizioni in materia di insubordinazione con violenza, con minaccia o con ingiuria, ovvero di violenza, minaccia e ingiuria contro un inferiore, vengono ripensate. Si è ritenuto che, a seguito dell'abrogazione del reato comune di oltraggio a pubblico ufficiale, tutti i casi di ingiurie tra militari di grado diverso, anche se avvenute in servizio o per cause attinenti al servizio e alla disciplina, possano essere ricondotti al reato militare di ingiuria e, conseguentemente, perseguibili a querela ovvero a richiesta del comandante di corpo, escludendo così la procedibilità d'ufficio per condotte caratterizzate da una limitata offensività.

      Le minacce e le violenze tra militari di grado diverso vengono poi mantenute nell'ambito dei reati contro il servizio, punite più gravemente e procedibili d'ufficio, solo se si tratti di fatti avvenuti in servizio o per causa attinente al servizio e alla disciplina, riconducendo gli altri episodi ai reati militari di lesione e di minaccia, che nei casi meno gravi sono puniti con pene più lievi e sono perseguibili a querela della parte offesa o a richiesta del comandante di corpo.

8) Reati contro l'amministrazione militare.

      In materia di reati contro la pubblica amministrazione sono state mantenute le fattispecie di peculato e di malversazione già previste dal codice penale militare di pace. Non si è ritenuto di prevedere la militarizzazione della corruzione e della concussione in quanto particolarmente problematica, soprattutto in ragione della

 

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natura di reato plurisoggettivo a concorso necessario della prima e della struttura della seconda. I richiamati reati sono infatti caratterizzati dal possibile coinvolgimento (come correi ovvero come soggetto attivo e parte offesa) di militari ed estranei alle Forze armate. Quanto alla corruzione, in particolare, ciò sconsiglia di introdurre meccanismi di separazione dei procedimenti poiché difficilmente compatibili con i princìpi di efficacia e di speditezza del processo, in materia di formazione della prova e di eguaglianza, con rischio di disparità di trattamento tra gli indagati o imputati soggetti alla giurisdizione militare e quelli soggetti alla giurisdizione ordinaria.
      Tali problemi non si pongono per il peculato e per la malversazione, che hanno una diversa struttura. Le due ipotesi vengono pensate simmetricamente a quelle analoghe disciplinate dal codice penale, superando così una disarmonia creatasi a seguito del mancato adeguamento della legge penale militare alle modifiche introdotte dalla legge 26 aprile 1990, n. 86. Si provvede, infine, ad estendere ai reati in questione anche la confisca di cui all'articolo 322-ter del codice penale e le pene accessorie applicabili alle corrispondenti ipotesi comuni.

9) Reati contro la persona e contro il patrimonio.

      Anche la materia dei reati militari contro la persona viene profondamente rivisitata. La mutata realtà delle Forze armate, soprattutto a seguito della sospensione della leva obbligatoria, non giustifica più l'applicazione del codice penale militare a tutti i fatti di violenza, ingiuria o minaccia intercorsi tra militari, ovunque e per qualsiasi motivo avvenuti.
      Mancando un interesse militare meritevole di tutela innanzi al giudice militare, le condotte illecite riconducibili a vicende di natura privata occorse tra militari volontari fuori delle strutture militari e per cause estranee al servizio vengono devolute alla giurisdizione ordinaria.
      Solo le lesioni, le ingiurie o le minacce poste in essere a danno di un militare da altro militare durante il servizio, o per causa attinente al servizio, ovvero in luogo militare o dinanzi a militari riuniti per servizio offendono interessi riferibili al tempo stesso alla parte offesa e all'istituzione militare e, pertanto, solo esse vengono riservate alla cognizione del giudice militare. In tal modo si è applicato a tutti i reati militari contro la persona il limite al momento previsto dall'articolo 199 del codice penale militare di pace per i soli reati di insubordinazione con violenza, con minaccia e con ingiuria, di violenza, minaccia o ingiuria verso un inferiore.
      Per una maggiore armonia del sistema, le sanzioni sono state poi assimilate a quelle del codice penale comune, ritenendo ormai superati i motivi che a suo tempo indussero il legislatore a differenziare le relative pene. L'introduzione della condizione di procedibilità della querela, in aggiunta alla richiesta del comandante di corpo per i reati di ingiuria, minaccia non aggravata e lesioni personali lievissime, rappresenta un adeguato bilanciamento dei diritti della parte offesa con l'interesse dell'amministrazione militare. Coerentemente con tale obiettivo, viene prevista l'irrevocabilità della querela per garantirne il coordinamento con la richiesta di procedimento e calibrare l'istituto in modo tale da assicurarne il corretto esercizio.
      Al fine di apprestare idonei strumenti di contrasto del fenomeno del cosiddetto «nonnismo», che si auspica comunque superato con la sospensione della leva obbligatoria, è stata introdotta, per i reati militari di minacce, percosse, lesioni e omicidio, la circostanza aggravante specifica dell'aver agito avvalendosi della forza di intimidazione o del vincolo di solidarietà, esistente o supposto, tra militari più anziani in servizio, con aumento di pena da un terzo alla metà e procedibilità d'ufficio anche nei casi meno gravi.
      Anche per quanto riguarda i reati militari contro il patrimonio, la nuova disciplina assimila in punto di pena le fattispecie a quelle analoghe del codice comune,

 

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introducendo anche la procedibilità a querela per i reati di furto d'uso di cose di tenue valore, appropriazione indebita e appropriazione indebita di cose smarrite, ora perseguibili a richiesta del comandante di corpo, nonché per il reato di truffa, nella sola ipotesi base, per la quale viene introdotta, per esigenze di coerenza del sistema, anche la richiesta del comandante di corpo.

10) Giurisdizione penale militare.

      La presente proposta di legge mantiene inalterati i limiti della giurisdizione penale militare, nel pieno rispetto dell'articolo 103, terzo comma, della Costituzione, secondo cui la giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace è limitata ai soli reati militari commessi dagli appartenenti alle Forze armate, e delle puntuali indicazioni fornite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 429 del 1992, con la quale è stato chiarito che la giurisdizione dei tribunali militari è esercitata esclusivamente nei confronti dei militari in servizio alle armi e dei soggetti considerati militari in servizio alle armi.
      In tutti i casi in cui soggetti estranei alle Forze armate sono chiamati a rispondere di un reato militare, rimane ferma, per costoro, la cognizione del giudice ordinario.

11) Processo penale militare.

      Nell'articolato non viene disciplinata la connessione di procedimenti di competenza del giudice ordinario e militare, ritenendosi sul punto sufficiente la norma contenuta nell'articolo 13, comma 2, del codice di procedura penale, per il quale fra reati comuni e reati militari la connessione opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, essendo in tal caso competente per tutti i reati il giudice ordinario.
      Il militare che abbia commesso reati comuni e reati militari, fra i quali sussista un vincolo di connessione, viene pertanto giudicato dal giudice ordinario nel caso in cui i primi siano più gravi, poiché in tale ipotesi la speciale considerazione che l'ordinamento riconosce alle condotte che offendono interessi di carattere militare recede dinanzi alla maggior gravità del reato comune connesso.
      Diversamente, ove il reato militare contestato sia più grave di quello comune connesso, il vincolo posto dall'articolo 103, terzo comma, della Costituzione non consente l'unificazione dei processi dinnanzi all'autorità giudiziaria militare.
      Quanto, infine, al caso particolare del concorso di militari ed estranei alle Forze armate nel reato militare, le alterne posizioni della giurisprudenza sono state definitivamente composte dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 5135 del 2006. Pertanto, in base alle norme vigenti, i soli estranei alle Forze armate rispondono al giudice ordinario, mentre rimane ferma la giurisdizione speciale nei confronti dei militari. Dunque l'abrogazione dell'articolo 264 del codice penale militare di pace conferma definitivamente l'attuale disciplina della separazione dei giudizi.

12) Reati commessi nel corso di operazioni militari armate all'estero.

      L'articolo 2, comma 1, lettera c), della presente proposta di legge prevede l'introduzione, in un apposito titolo, della disciplina penale per le operazioni militari che l'Italia svolge all'estero nel quadro dell'articolo 11 della Costituzione e nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite. Le fattispecie introdotte sono intese ad assicurare adeguata tutela a tutti i soggetti - militari, civili e popolazioni locali - a qualunque titolo coinvolti nelle situazioni di crisi in cui hanno luogo le missioni internazionali.
      Tali disposizioni consentono di perseguire gli atti ostili condotti contro uno Stato in violazione delle convenzioni internazionali o delle disposizioni che regolano la missione, il ricorso a mezzi o a modi di combattimento vietati dalle convenzioni internazionali, la cattura di ostaggi, l'uso arbitrario di violenza contro civili, il compimento di atti di tortura, il saccheggio e l'incendio, la distruzione di beni culturali, l'uso di armi contro ambulanze,

 

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ospedali e strutture sanitarie, il maltrattamento di feriti e di naufraghi, la violazione delle norme di diritto internazionale sulla tutela di persone inferme o verso prigionieri.
      Le norme, pur riprendendo nei contenuti le disposizioni sulla tutela dei cosiddetti «soggetti deboli», inserite nel libro III, titolo IV, del codice penale militare di guerra, recano modifiche, adeguamenti in materia di pena e adattamenti necessari per renderle aderenti alle diversificate circostanze di impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali. L'intervento realizza un sistema di tutela dei diritti umani e di rispetto del diritto internazionale umanitario applicabile in occasione di qualsiasi missione militare armata all'estero, in linea con le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 ratificate ai sensi della legge 27 ottobre 1951, n. 1739, e con i protocolli aggiuntivi del 1977, ratificati ai sensi della legge 11 dicembre 1985, n. 762, nonché con la Convenzione del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, ratificata ai sensi della legge 7 febbraio 1958, n. 279, e con lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della citata legge n. 232 del 1999.
      La disciplina in esame risulta peraltro coerente con l'importante ruolo svolto dall'Italia nel processo di mantenimento della pace in ambito internazionale, al quale le Forze armate e di polizia forniscono un prezioso contributo, apprezzato unanimemente, oltre che per la professionalità, per l'esemplarità delle condotte del personale e per la capacità di relazionarsi costruttivamente con le popolazioni locali anche nelle situazioni di maggiore criticità.
      Le pene sono individuate nel rispetto del principio di proporzionalità, tenendo conto dell'offensività delle condotte, della natura dei beni giuridici violati e del rapporto con analoghe fattispecie previste dal codice penale o da leggi speciali.
      Vengono infine confermate le disposizioni sulla competenza del tribunale militare di Roma per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate durante le operazioni militari armate all'estero, quella del tribunale di Roma per i reati commessi dal cittadino che partecipa alle medesime operazioni, nonché la condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della giustizia per i reati commessi dallo straniero contro lo Stato ovvero contro le Forze armate italiane, previste dai provvedimenti legislativi di autorizzazione delle missioni (da ultimo, l'articolo 5 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 2007, n. 38).

Articolo 3 - Disposizioni finali.

      All'articolo 3 viene previsto l'inserimento della disposizione, ora contenuta nell'articolo 409 del codice penale militare di pace, nella legge 7 maggio 1981, n. 180, previsione che si rende necessaria per riunire nel medesimo testo le norme sul tribunale militare di sorveglianza e sull'ufficio militare di sorveglianza.

 

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